2021



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Le fotografie

– La chiesa dei Servi oggi.

– Statua del beato Gioacchino Piccolomini, ambito veneto, secolo XIX, da Beweb.

– Archivio di Stato di Siena, G. Macchi, Notizie di tutte le chiese che sono nella città di Siena, sec. XVIII, la chiesa dei Servi e la chiesa di San Clemente.

– Ivi, la chiesa dei Servi a Siena.

– Ivi, Castel di Montone ai Servi.

– Sul sacramento del matrimonio, 1776, ambito italiano, da Beweb.

– La parte della pergamena con il rito del matrimonio tra Giovanni e Gioacchina.

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IL BEATO GIOACCHINO,
Gioacchina e i Servi di Siena


Nelle rivista Iconographica, III, Firenze Sismel edizioni del Galluzzo, 2004, si trova un saggio di Raffaele Argenziano intitolato: Corpi santi e immagini nella Siena medievale: l’iconografia dei sepolcri di Gioacchino da Siena e di Aldobrandesca Ponzi. È corredato da alcuni interessanti disegni della chiesa di San Clemente e Santa Maria dei Servi conservati nell’Archivio di Stato di Siena.

Inizia con le notizie sulle origini della chiesa e del convento, fondati a partire dal 1259 quando i frati vennero invitati dalla Repubblica di Siena a stabilirsi dentro le mura e a lasciare il loro primo ricovero sotto Castel Montone. La costruzione dei primi edifici iniziò poco più tardi, nel 1263 e, pare, fu compiuta nel 1282. Successivamente la piccola chiesa primitiva rimase oggetto di altri rifacimenti e decori: il transetto e le cappelle absidali nella prima metà del secolo XIV, le vetrate, il pavimento della chiesa, la campana del 1347, il campanile documentato ancora nel 1402 e nel 1441 e l’ingrandimento della navata e delle cappelle laterali negli anni ‘60 e ‘70 del Quattrocento. Anche in seguito e fino all’ottocento ebbe luogo “un continuo aggiornamento delle decorazioni interne della chiesa”, come scrive Argenziano.

L’autore prosegue quindi con il monumento funebre del beato Servo di Maria Gioacchino Piccolomini del quale restano alla Pinacoteca Nazionale di Siena solo tre pannelli attribuiti allo scultore Gano di Fazio (1312 circa).

Il beato era entrato nell’Ordine nel 1272 a soli 14 anni, prendendo il nome del padre della Vergine, Gioacchino. Aveva vissuto un breve periodo nel convento di Arezzo e quindi era tornato a Siena, dove si era occupato di sofferenti e bisognosi. Era deceduto il 16 aprile 1305. Tumulato in chiesa due giorni dopo la morte, il suo sepolcro era diventato fin da subito oggetto di venerazione da parte dei cittadini. Da qui la costruzione del monumento attribuito a Gano di Fazio, sul quale Argenziano fa delle ipotesi circa la sua intera composizione e sui temi dei pannelli. In particolare ricorda i miracoli compiuti dal beato dopo la morte prendendo a testimone Michele Poccianti (Chronicon, 1567) che ne cita dodici. Ovvero il beato salvò: 1) un condannato a morte, 2) un bambino annegato e un uomo malato, 3) liberò un’indemoniata, 4) guarì un uomo colpito da un embrice, 5) apparve circonfuso di luce ai suoi devoti, 6) risanò un fanciullo al quale un cane aveva staccato un dito, 7) rese buono del vino andato a male, guarì 8) un contadino morso da un serpente velenoso, 9) un bambino caduto dal letto, 10) un soldato bolognese ferito da un cavallo, salvò 11) il figlio di Giacomo da Forlì caduto da una finestra alta trenta braccia [circa 17 metri] 12) e risanò una donna piena di ulcere.

Furono miracoli operati nei confronti di gente povera e disperata (e di ragazzi imprudenti), parte dei consueti umili devoti prediletti dal beato e che ricambiarono il suo affetto cristiano tributandogli un culto fatto anch’esso di piccoli gesti e preghiere quotidiani.

La notorietà del beato Gioacchino lasciò testimonianza anche in una pergamena inedita del 1359, poco più di una cinquantina di anni dopo la sua morte.
Non vi si parla di miracoli ma di una famiglia di Sant’Angelo di Montone, la parrocchia vicina alla chiesa dei Servi di Maria – e poco tempo dopo concessa ai frati –, e di una ragazza dal significativo nome di Gioacchina.

Era la futura sposa di Giovanni del fu Braccio linaiolo del popolo di San Maurizio che fece una donazione di 500 lire di denari senesi a suo padre, il calzolaio Luca del fu Pagno “propter nuptias” (a causa delle nozze) perché servisse a lei come dote.

Poco più di un mese dopo, Giovanni e Gioacchina si sposarono e lasciarono ricordo del rito proprio nella pergamena. Vista la sua originalità, lo “giriamo” al lettore:

“Eisdem anno et indictione die vero vigesimatertia mensis ianuarii suprascripti Iohannes olim Braccii ex una parte et domina Ioacchina ex parte altera de eorum comuni concordia et libera voluntate mutuo consensu per verba de presenti inter se ad invicem matrimonium legitime contraxerunt.
Et dictus Iohannes anulis quos in manu habebat dictam dominam Ioacchinam in anulari digito dextre sue manus solemniter inguadiavit”.

Traduzione:

Lo stesso anno e indizione il giorno 23 del mese di gennaio i soprascritti Giovanni del fu Braccio da una parte e la signora Gioacchina dall’altra parte di loro comune concordia e libera volontà con il reciproco consenso per parole di persona tra loro vicendevolmente e legittimamente contrassero matrimonio.
E il detto Giovanni con gli anelli che aveva nella mano solennemente impegnò la detta signora Gioacchina nel dito anulare della sua mano destra.

Paola Ircani Menichini, 17 aprile 2021.
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